la gaia educazione

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sabato 10 novembre 2012

Ancora (sì, ancora), sui giovani, la loro speciale sensibilità per l'ingiustizia e le botte


Non ci si può esimere, se non altro in quanto osservatori e attori nel mondo dei giovani, a intervenire nei flussi di retorica che li inondano. I giovani, gli adolescenti ancora di più, restano una grande ghiottoneria per le riflessioni spesso gratuite che molti acuti (si fa per dire) maestri di penna ci infliggono approfittando del fatto che si tratta di un soggetto che raramente arriva a esprimersi in proprio nelle sedi dove appunto si consuma la retorica sopra di lui. I giovani. Cui si oppone, con sommo gusto della caricatura, il soggetto adulto o anziano, oppure i sempre idealizzati bambini (sapessero che razza di soggetto sadiano, magari in miniatura ma sadiano, lo ha mostrato bene Golding, sono i bambini!). I giovani, sempre un po’ ridicolizzati, sghembi per natura, non acconci. Oggi è tornato di moda l’antichissimo sport di prenderli a botte (e certo non solo metaforicamente). La polizia, che è sempre la stessa, un organo di repressione, sarebbe opportuno non dimenticarlo mai, Pasolini o non Pasolini, pesta i giovani. I giovani protestano ma, sottolineano acuti osservatori, senza sapere bene neppure il perché. I giovani narcisisti della società senza padre (sempre secondo i loro osservatori), riottosi a farsi adulti in un mondo privo di adulti perché ormai intenti essi stessi all’infinito gioco del desiderio (desiderio imposto però dal grande mercato delle merci) bla bla bla bla. Gli psicologi soprattutto. Un giorno o l’altro bisognerà fare una ricerca, una ricerca “politica”, sopra gli psicologi, questi arguti analisti delle vite altrui. Sempre pronti a fornire le loro preziose diagnosi, con terminologia squisitamente maleficatrice, che inchioda tutti alla patologia. Posizione comoda quella dell’analista, il vero dominatore della chiacchiera contemporanea ma anche insostituibile procacciatore della peggiore droga in circolazione, quella dell’ideologia che ci fa tutti integrati nella vita normale o irrimediabilmente sbagliati. Ma poi non sono solo loro. Tutti sproloquiano sui giovani, me compreso. Tutti siamo presi da questo sport arcigno, che li guarda da una presunta posizione di conoscenza, senza neppure aver davvero fatto banalmente i conti con ciò che significa essere giovani, o adulti. Soprattutto senza avere sperimentato davvero la nostra adolescenza, la nostra giovinezza, fino a farne un centro di irradiazione vitale, costante e pervasivo. I giovani, questa massa melliflua e sostanzialmente omogenea. Ma dove, ma quando? I giovani sono sempre esposti all’erpice violento delle interpretazioni. In verità essi sono altrove, perlopiù, dalla posizione dei guardanti, dei voyeur che li scrutano per metterne in luce le criticità, gli scarti, le devianze. Sempre altrove dallo sguardo sottilmente invidioso che li perlustra e che cerca di enuclearne i depositi di paura, le violenze, la confusione (apparente), l’immoralità. Diventare adulti però, occorrerebbe dirlo a lettere maiuscole, significa perdere quella SPECIALE BELLEZZA. E’ l’adulto il mancante, non il giovane. E’ l’adulto che perde in vigore, freschezza, sensibilità. L’adolescente, il giovane sono immensamente aperti, e densi, e liberi (quando non sono vilmente sabotati appunto dagli adulti che se ne occupano e dalle loro interpretazioni risentite). Ma di più, i giovani hanno qualcosa di indomabile che ha il sapore dell’utopia, nella loro condizione, quando è ancora così privilegiatamente libera, non ingabbiata nella vita sociale e professionale. Essi possiedono, stigma incancellabile, una speciale sensibilità per l’ingiustizia. Oh, virtus horribilis! E’ questo che li rende insofferenti, che talvolta li fa scendere nelle strade, gridare, rompere. A differenza degli adulti, quelli che poi davvero lo diventano (e, ahimè, qualcuno davvero lo diventa), essi avvertono, o meglio -forse proprio perché non ancora presi dalle norme cogenti dell’ingranaggio, perché pascolano ancora in quella zona di distacco da cui le cose appaiono inagite, possibili, non sottoposte al dominio di una ragione che le strumentalizzi-, sono sensibili alle storture, le aggressioni gratuite, la violenza implicita ed esplicita sul mondo, sulla natura e sulle loro vite ancora non definite e perdute (o predate). Mentre gli adulti affondano nei gorghi della loro progressiva acquiescenza alla putrefazione dei sensi (specie di quelli rivolti al dolore del mondo), i giovani, fin tanto che restano tali ( e molti lo restano a lungo, fino alla fine dei loro giorni perfino, eccezionalmente), sono ancora svegli, desti, sensibili appunto. Questo è insopportabile per l’adulto-guardiano (e guardone). Lui è al lavoro per anestetizzarli, per piegarli ai carichi di lavoro che possano finalmente normarne l’ indomabile tendenza insurrezionale, l’insubordinazione, anche il semplice lamento. Ecco allora la distribuzione gratuita delle sindromi: narcisisti, intolleranti alla frustrazione, indolenti, capaci solo di passioni tristi e compagnia cantando. Per la misera testimonianza che ne posso offrire, le passioni dei giovani starebbero benone, se non ci fosse lo sguardo degli adulti genitori, la scuola degli adulti insegnanti, il mondo degli adulti padroni a soffocarle. Se avessere intorno maestri di affermazione della vita e non tossicodipendenti della distruzione sistematica: distruzione del senso, distruzione della natura, distruzione della vita. Ci si stupisce che ogni tanto i giovani facciano sentire il loro grido di protesta e qualcuno è stupito perfino che li si rimetta rapidamente al loro posto (qualcuno persino si straccia le vesti, con finta ingenuità): li si rimette al loro posto con la polizia, polizia nelle strade ma anche polizia nella testa, con i nuovi e progressivi programmi di professionalizzazione precoce, di arruolamento nelle truppe di distruzione del cosmo e del possibile. Manganellate sulla schiena e manganellate psicologiche, sociologiche, manganellate a suon di test, di selezioni, di mete esistenziali risibili e palesemente alienate. Io continuo a stupirmi che i giovani non mettano a ferro e fuco le loro case, le famiglie, “gli armadi, le chiese, i notai”, come diceva Gaber. E gli psicologi. Purtroppo, è l’amara constatazione, i nuovi sistemi di manipolazione lavorano in profondità, sempre di più, l’idiotizzazione, l’adulterazione precoce funziona. E allora naturalmente se uno sta rivendicando il suo tempo e il suo diritto a essere fino in fondo, è solo un piccolo narcisista figlio dell’impero del consumismo, dei padri assenti e delle passioni tristi. E allora torniamo alle vecchie regole auree dell’autoritarismo, dei padri che prendevano a pedate l’autonomia di pensiero dei loro figli, che imponevano il loro scettro su ogni decisione, sotto la minaccia di castighi, fisici e psichici, innominabili. Torniamo alla buona generazione così rispettosa dell’autorità da non avere neppure più neppure la coscienza che le impedisse di accompagnare ai forni esseri umani loro simili, solo perchè questo gli era stato ordinato (da un capo-padre). Torniamo alla grande generazione di gente che sapeva diventare adulta, che sapeva separarsi dalla capsula affettiva delle famiglie, famiglie da cui separarsi certo era sempre un gesto troppo tardivo. Torniamoci e spazziamo via anche il più piccolo sintomo di giovinezza, quel sintomo che fa della giovinezza la stagione utopica della vita, la stagione “insubordinata”, letteralmente “senza luogo”, non ancora fissata, inchiodata ad un ruolo e alle responsabilità predisposte per essa dal sistema sociale. Quellea responsabilità che infine li piegherà al nulla e alla distruzione di cui i nostri magnifici e progressivi adulti continuano, ad ogni piè sospinto, a offrirci lo spettacolo incomparabile.

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