la gaia educazione

la gaia educazione

venerdì 14 dicembre 2012

Viva la controeducazione (agli adepti di Faunalia e oltre) !


La controeducazione, contrapposta alla triste scienza dell’ortopedia e dell’ingessatura, della mummificazione del cucciolo d’uomo e delle sue ulteriori figure sull’altare del conformismo e della passivizzazione, dell’ascetismo e della rinuncia, dell’immolazione al sacrificio, alla fatica, alla crocifissione e all’inginocchiamento, reali o metaforici, contrappone l’esaltazione affermativa dell’immaginazione, delle emozioni, del corpo e del piacere. Al primato di uno spirito irreparabilmente consegnato alla graticola delle restrizioni e al cilicio delle privazioni, il primato gaudente della sfrenatezza, dell’anima incarnata e ardente, impegnata nell’avventura delle molteplici posizioni d’essere e nel gioco interminabile della dissipazione. Curiosa di tutto, avida e inestinguibile, l’anima corporea della controeducazione, spinge a demolire le insegne imputridite e le stigmate di una formazione maligna che da sempre sequestra i corpi, le passioni, i sogni, per condannarli, reprimerli, punirli. A noi il divenire-danza, festa, sperpero contro la parsimonia ipocrita delle caste di conoscenza, a noi la generosa vendemmia di un sapere di tutti e di nessuno, così aperto da far deragliare ogni pretesa di dominio, così denso da risucchiare ogni proposito di analizzarlo, così intenso da respingere ogni tentativo di indebolirlo con le armi della falsa dialettica. Controeducatori di ogni contrada mondana, lasciatevi rapire dai cembali impazziti del corteo dionisiaco, dal richiamo delle fachiresse fourieriste, dalla materia leggendaria delle carni barocche e rubensiane , dalla fame di Pantagruele, dal riso di Zarathustra, dalle zone di temporanea eruzione vitale di Hakim Bey, dall’orgasmo interminabile dei fautori irreprimibili di un piacere non viziato dai ricatti del padre e della legge della mancanza. La controeducazione sarà precisamente la guida fausta e elettiva per chi ancora crede che al fare e al produrre vada anteposta l’esigenza ineludibile del dire di sì alla grassa materia della vita. Certo, appena oggi ci si permette di inneggiare al piacere e allo spirito festivo, subito si viene punzecchiati dalla fanfara grigia di chi vi vede l’imposizione del potere, il finto piacere della merce consumabile e dei soggetti manipolati e inchiodati al godimento obbligatorio. Ma dietro l’invettiva contro il piacere si annida sempre una teologia, un’idea di fondamento nella mancanza, l’impossibilità ad essere, insomma la tirannide feroce che da sempre vede l’uomo votato al naufragio. L’elogio della festa è però tutt’altro dal gravitare nelle acque melliflue del finto neopaganismo dell’epoca, è lo spirito insurrezionale che pretende di vedere il piacere posto al centro dell’essere, come motore primo, dinamico e fecondo, quello per cui si fa e si cerca anzitutto per passione ed è la passione l’unico vero oggetto perduto da sempre. Ispirandosi a quei pochi ma fermi maestri che ci invitano alla penetrazione del meraviglioso in ogni atto del vivere, che vogliono davvero sbarazzarsi dell’odioso tributo alle moraline del risentimento, da Charles Fourier a Hakim Bey, da Aristippo a René Schérer, cercare il piacere non è cedere all’incesto con gli imperativi dell’epoca barbara, semmai è redimere il pantheon degli dei delle passioni tristi per affiliarsi a quelli che da sempre affermano il diritto di esserci qui e ora, che conoscono il periplo di ogni alchimia riuscita, e cioè che alla fine della trasmutazione si entra nel ciclo della moltiplicazione. La moltiplicazione delle passioni, la loro soddisfazione, tutt’altro che impossibile, sono il vettore opulento della controeducazione, in rotta di collisione con tutti i vocati all’elogio della miseria, della rinuncia, dell’autocommiserazione.

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