la gaia educazione

la gaia educazione

domenica 24 febbraio 2013

Un'altra scuola possibile


Della scuola si sente parlare tanto genericamente e poco specificamente. Tutti si fanno belli di slogan tipo investire sulla scuola e sulla ricerca ma omettono singolarmente di aggiungere per quale ricerca e quale scuola. Purtroppo si sa, quasi tutti vogliono una ricerca al servizio del lavoro (dunque eminentemente pragmatica e misurabile) e una scuola più efficiente e razionalizzata (dunque eminentemente pragmatica e informatizzata). Bene, anzi male. Tutto ciò mi irrita e mi indispone enormemente. Allora, per calmarmi, provo, in bella sintassi protocollare, a promulgare il mio PROGRAMMA PER LA SCUOLA:

1. Adottare come principi fondanti dell’educazione scolastica l’attrazione appassionata, il piacere e l’indole festiva in tutte le loro forme e manifestazioni 2. Colorare, articolare e arrotondare gli edifici, con l’ausilio di architetti sensibili 3. Ammorbidire e colorare gli interni 4. Integrare all’esterno ampi spazi riservati al verde (70 per cento) e a strutture sportivo-ricreative (30 per cento) 5. Foderare e attutire tavoli e sedie scomodi e rumorosi 6. Predisporre servizi audio e video, connettibili a internet, in tutti gli spazi adibiti ad attività 7. Nelle aule curvare la disposizione di tavoli e sedie orientandoli verso la forma circolare o anche predisporre la disposizione a isole con l’eliminazione della cattedra. Modulare gli altri spazi a seconda delle attività e delle esigenze, specie quelle corporee e pratiche. Integrare zone di loisir e di riposo per studenti e personale. 8. Prescrivere ai docenti di interrogarsi sul senso del loro lavoro, se piace loro e se piacciono loro gli studenti (come categoria): in assenza di una risposta positiva, rimandarli in formazione 9. Materie suggerite per tutti i percorsi: teatro, musica, danza, arte e lettere, filosofia, natura molteplice (biologia, chimica, materiali, ecologia ecc.), matematica e fisica, storia e storie (dal macro al micro), politica, sessualità, religioni e sacro, sport e corporeità, arti marziali 10. Sostituire i libri di testo, le antologie e le storie delle discipline con documenti, libri, materiali audiovisivi vivi e non morti, e neanche non-morti 11. Programmare le attività in base al principio della passione: si fa solo ciò che si ama e si ritiene di saper fare con piacere (per gli insegnanti) 12. Eliminare ogni procedura di valutazione che non sia esplicitamente richiesta dagli allievi per verificare il loro grado di avanzamento nella conoscenza. In ogni caso eliminare, fino almeno alla seconda parte dell’anno, ogni tipo di prova con valore decisivo sul risultato di fine anno degli allievi. Ogni prova dovrà essere valutata solo con un giudizio che rilevi elementi positivi e negativi delle prestazioni e ponga in luce punti di forza e aree di miglioramento da perseguire con scrupolose indicazioni al riguardo 13. Eliminare l’abominio dei test, in tutte le loro sottospecie 14. Ridurre al 20 per cento le attività che richiedono l’uso esclusivo di lezioni frontali e prescrivere la considerazione della componente emozionale ( e dunque l’attenzione alla motivazione) come decisiva in ogni percorso di apprendimento 15. Dedicare ad attività che includano l’uso del corpo in chiave sportiva, espressiva o affettiva, almeno il 60 per cento del tempo 16. Integrare un ampio spettro di attività volte all’esplicita elaborazione dell’aggressività (sport di combattimento, anche misti, sessioni guidate di pratiche conflittuali e di gestione del conflitto, arti marziali, laboratori bioenergetici ecc) 17. Dedicare ad attività coreutiche, musicali e teatrali almeno il 40 per cento del tempo 18. Integrare l’elemento visuale alla pari dell’elemento linguistico in ogni attività 19. Integrare attività con gradienti di attivazione creativa (arte, composizione, recitazione, costruzione, artigianato ecc) e ludica (gioco, gioco, di squadra, simulazione, role-playing ecc) almeno al 70 per cento delle attività previste 20. Ampliare le attività all’aperto in tutte le loro sottospecie: cura dell’ambiente esterno, giardinaggio, orticoltura, visite, gite, avventure nella città o nella natura, educazione alla natura, al massimo delle possibilità presenti in termini di risorse fisiche e finanziarie 21. Moltiplicare le attività interdisciplinari, lavorando su tematiche trasversali e oggetti di creazione comune (spettacoli, ricerche, costruzioni ecc.) 22. Includere la possibilità, da parte degli allievi, di assentarsi dalla lezione quando non ritengano la conduzione o il tema di essa più interessante per loro, potendo decidere se oziare in spazi dedicati oppure passare ad altre attività 23. Includere l’educazione sessuale come attività pluridisciplinare e complessa a tutti i livelli del percorso scolastico 24. Includere l’educazione politica come attività pluridisciplinare e complessa a tutti i livelli del percorso scolastico 25. Includere l’educazione alla morte come attività pluridisciplinare e complessa a tutti i livelli del percorso scolastico 26. Integrare forma di democrazia diretta su argomenti di gestione quotidiana e straordinaria dell’istituto, assembleare e consigliare, tra studenti e docenti, senza l’inclusione dei genitori.

Ecco, questa, come BASE di discussione per una riforma DELLE SCUOLE, mi sembrerebbe abbastanza appropriata. E orientata verso un altro mondo possibile. ;)

venerdì 8 febbraio 2013

Non c'è più via di fuga


Le fughe dei ragazzi scuotono il benpensiero. Nulla di nuovo, da questo punto di vista, solo, talora, nuove parole. Gli psicologi, al solito, arroccano sulla famiglia, unico riferimento nella loro mappa societaria. Se i giovani scappano di casa sarà per trarre riconoscimento, per dire ai genitori che ci sono, che esigono più attenzione. Tutt’al più forse, la fuga, sarà un grimaldello per estorcere più paghetta, più tempo su internet, l’ultimo gadget. La litanìa sulla gioventù appesa al nulla e alle mamme è sempre sulla bocca dei nostri curatori di fallimenti. E sarà pur vero, in qualche caso. Qualche filosofo della letteratura parla di presenza che si propone con l’assenza. E certo assentandosi ci si presentifica, come in amore. Ma forse non è necessario scomodare l’ontologia dell’assenza né lo tzim-tzum (la teologia cabalistica del dio che scompare per manifestarsi). La fuga è un archetipo della giovinezza, una necessità e un’iniziazione di cui molti hanno avvertito il richiamo, chi prima e chi dopo. A cambiare, di fronte alla trasgressione (del confine) è semmai la retorica della recuperazione, per usare un termine un po’ démodé. Ma anche la realtà della fuga, una fuga che si consuma nel mondo della simulazione. Io credo che i ragazzi si sentano alle strette, di tanto in tanto, nella prigione dorata (oggi dorata dal nuovo sussiego genitoriale, la famiglia affettiva e sempreaddosso), nel tessuto compatto della securizzazione. La voglia di lacerare quella materia invisibile, fatta di prevenzione, rischiaramento a colpi di sincerità e di trasparenza, di controllo e sorveglianza, proprio nel tempo della sua massima applicazione, potrebbe essere una risposta all’ansia di scappare. Voglia di esporsi ad un aperto, ad un fuori, ad uno spessore del reale contro il quale urtare nella nudità della propria pelle. Voglia di rinunciare alle dieci telefonate obbligatorie alla famiglia, al rendiconto, al balletto del vogliamoci bene. Peccato che il fuori sia scomparso, nel frattempo. Dove puoi cercare into the wild oggi? Non c’è cargo o treno che parta per paesi lontani e diversi né la compagnia di saltimbanchi nomadi o di fuorilegge di cui sperimentare l’eccesso e la seduzione. Tutto è uguale a tutto, là fuori. Forse è questo il motivo della brevità di queste fughe. Fuori c’è il dentro, e viceversa. Tutto è attenuato, indebolito, comunque sorvegliato. Come fuggire nel paese delle telecamere di servizio, della localizzazione tramite cellulare, dell’uniformazione compiuta e della delazione obbligatoria? Il mondo è una grande famiglia… Ogni sporgenza è stata smussata e fagocitata. Come nel Truman Show anche il fuggitivo contemporaneo corre verso un orizzonte che non c’è, a rischio di trovare la porta che lo farà cadere nel puro vuoto. Ma ben pochi arrivano fino a lì, a schiudere l’asola che si apre sopra l’oltre o, talvolta, l’inferno. Per spingersi fino a lì, occorre non solo il senso dell’avventura ma una disperazione insostenibile che il calore simulato del sistema di protezione e di manipolazione famiglia-scuola-consumo non permette che si manifesti davvero. Le fughe si arrestano prima, picchiando contro il muro di gomma delle infinite equivalenze, di un altrove dato per disperso, definitivamente. In barba a chi si beffava di Marcuse, oggi il mondo ad una dimensione è una realtà assoluta. Chi fugge sa cosa trova: il medesimo. Certo a volte una lacerazione nelle maglie compatte della recuperazione aprono a qualche abisso o a qualche inspiegabile ulteriorità: è il caso di quelli che non tornano più. Forse preda dell’orco, il sottosuolo “reale” dell’orrore e della sopraffazione. Oppure finalmente in viaggio verso il non dove, il luogo utopico di un’altra vita (im)possibile. Ma il più delle volte la fuga è un giro su se stessi, un turno sulla giostra del sempre eguale ed è un giro breve perché comunque il cane da guardia è molto più attrezzato di un tempo. E spesso alloggia dentro, inoculato dall’educastrazione. I giovani desiderano evadere, toccare il corpo del mondo, godere il loro ike notturno nei boschi ma impattano nel grigio compatto della cementificazione cui tutti siamo sottoposti, la cementificazione dei sogni e del futuro. E dove non cattura la polizia, c’è la psicoterapia pronta ad accoglierci nell’ultima simulazione. E’ l’anello di Moebius, ti sembrava due ma è uno, sempre lo stesso, che abbia il volto del genitore o del maestro, del prete, del poliziotto o del terapeuta. Non ci si allarmi troppo dunque. I ragazzi non si rassegnano, è vero, perlomeno alcuni tra essi, ma i loro sensori sono veloci e presto, per forza di cose, rieccoli a casa.