la gaia educazione

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giovedì 22 maggio 2014

Sad Eros



Oggi per il povero Eros tira una brutta aria, aria di miseranda restaurazione. Da Badiou a Han ritornano al galoppo tutti i vecchi rosari. Prima il grande ultimo filosofo comunista che si affida anche lui ai sempreverdi Platone, Agostino, Goethe per perorare la causa intramontabile di un amore vero, uomo-donna, fedele all’Altro, assoluto, capace di resistere alle lusinghe dei flussi contemporanei, delle macchine desideranti o delle chat erotiche. Il pensatore coreano, tanto brillante e incisivo nella Società della stanchezza, oggi ci rifila anch’egli l'assolutamente altro, tra Hegel e Levinas. Sui nostri rotocalchi si addomestica Lacan per farne una versione per le scuole (private e cattoliche).

Seppelliti da tempo i Marcuse, i Reich, i Lowen, sempre occultato il povero Fourier (che tuttavia andrebbe riletto con più gusto e un pizzico di humour), sembra che coppia e amore eterno debbano essere nuovamente gloriati e santificati.

Quanto poco ascolto per chi di eros e sesso davvero ha trattato con finezza e consapevolezza profonda. Riane Eisler per esempio, il cui “Il piacere è sacro”, un libro formidabile che fa l’archeologia della demonizzazione del sesso, andrebbe a mio giudizio reso obbligatorio a scuola, tanto per ricordare da dove veniamo e dove rischiamo ancora di andare (noi figli di un immaginario patriarcale assai solido anche nella grecità). E perché no, persino il supermaschilista Julius Evola, capace però nella Metafisica del sesso e anche in altri scritti di disegnare con magistrale scrittura la grande e fondata sacralità dell’eros, il suo potere trasformativo e visionario.

Noi perdiamo di vista che con Eros andrebbe sempre ripensato Dioniso e dietro lui la coppia Shiva-Shakti, autentica radice di ogni sessualità radicata nell’esperienza della terrestrità, della natura e di una cultura non solo intrisa di scissioni e minorazioni (e si rammenti così anche Danielou).

Ma no, noi siamo appesi alle nostre stampe vittoriane, alle fiabe romantiche, alla indissolubile coppia amore-morte, pronti ad asserragliarci intorno al vecchio codice ristretto condito più o meno variamente di teologie e sacralizzazioni improprie, l’assoluto, la verità, il dolore.

Come fare per insinuare in questo accampamento di irriducibili monaci trappisti, (con tutto il rispetto dovuto a quelli autentici), il sospetto che la sessualità è il centro della nostra esperienza nel mondo, di una vita possibilmente vissuta all’insegna del piacere, della condivisione, medicine insostituibili per placare l’orrore della competizione?

Quanto tempo occorrerà perché finalmente una cultura della sessualità degna di questo nome, e non solo una manfrina di retoriche psicologiste e istruzioni medico-sanitarie intrise di moralina, entri nelle nostre scuole, nella società, nel cinema (anche) per non abbandonare i ragazzi e le ragazze all’incontro con l’esperienza più straordinaria della loro vita in balìa di preconcetti, timori e un immaginario mediale violento e ripetitivo.

E’ inutile, sono anni che provo a scuotere i miei studenti nei banchi dell’università su questa “irruzione del meraviglioso”. E’ tardi. Il danno è già stato fatto. Li vedo intimoriti, inibiti, incapaci di articolare una qualunque alternativa ai copioni più logori e normalizzati. La sessualità resta un incredibile tabù, e non c’è rave che possa esorcizzare la penuria di sapere, fantasia, immaginazione.

Alla faccia dello scatenamento del godimento, quello che sperimentiamo, dentro e fuori di noi, è solo e ancora un corpo ignorante dove sensibilità e consapevolezza appaiono povere, mute. I corpi di noi tutti sono ancora goffi e passivi come lo sono quelli che si presentano davanti al tribunale della medicina o della psichiatria, corpi divisi, la cui esperienza di vita è castrata.

L’eros delle infinite sfumature, quello dei trattati antichi ed esotici, di una sacralità vitale e non sacrificale, diffuso nelle eresie, nelle letterature periferiche, nelle utopie, nell’espressività simbolica negletta dei grandi visionari di ogni tempo e luogo, quell’eros non penetra la nostra cittadella murata dalla sua anestesia.

Viene nostalgìa di un Eros bambino, alato e vagabondo e della sempre elusa potenza di Afrodite, che ci richiamerebbe a un grande elogio del piacere che mai abbiamo conseguito, tra teologie une e trine e simulacrali godimenti acefali.

Per sfregio, di fronte a tanta santificazione dell’amore con la A maiuscola (la cui esclusività, non lo si dimentichi, è anche causa di inenarrabili sofferenze), perorei con forza la causa della masturbazione, atto pacifico e individuale, di pura dissipazione, antiproduttivista e, come diceva Woody Allen (il cui narcisismo non si può negare abbia avuto grande potere creativo), atto erotico che si consuma con qualcuno che, volenti o nolenti, si stima.

E però anche, con il vecchio Fourier, voglio immaginare una combinatoria più ampia, complessa, una rotazione, una gerarchia mobile e virtuosa, dove la manìe si combinino con le manìe, non per premiare un piacere esonerato dall’intensità persino delle sofferenze, per quanto magari attutite da una sacrosanta affermatività, ma solo per onorare la vita, la breve vita che ci è capitata e che ci scorre via mentre ci accapigliamo per togliere al nostro tempo ogni autentica possibilità di essere “goduto”.

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