la gaia educazione

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giovedì 4 giugno 2015

Il discorso dello psicoanalista capitalista



Mai come in quest’epoca gli psicoanalisti dettano legge. Il povero Lacan si rigirerebbe nella tomba, lui che suggeriva di “fare il morto”, di non prescrivere, di essere la casella vuota che consente al paziente di “fare il giro” senza mai incontrare un soggetto pieno.

Lo psicoanalista francese esortava gli analisti a non ergersi a maestri di verità (non so con quanta buona coscienza ma insomma).

E invece.

La salmodia delle ricette psicoanalitiche è diventata moneta comune del neo-moralismo contemporaneo.
I principali assiomi del “discorso dello psicoanalista” (non quello di Lacan evidentemente ma il suo succedaneo d’oggidì sub specie pedagogica), risultano essere:

maleficazione dell’adolescenza e giovinezza con particolare riferimento alle sue derive narcisiche, rintracciate però ubiquitariamente;

colpevolizzazione del godimento, che da secoli non raggiungeva questo grado di demonizzazione;

individuazione nella latitanza della figura paterna della maggior parte dei disagi del tempo (sub specie dissolvendi, evaporandi et sublimandi);

perorazione della frustrazione e di una “riformata” normatività;

sostanziale colpevolizzazione della “famiglia affettiva” ecc. ecc.

In realtà, sintetizzando le forme del suo discorso, esso non appare molto differente da quello delle pedagogie morali dei secoli passati, in particolare di ispirazione religiosa. In fin dei conti essa ci ripropone, con lievi eccezioni, il classico bagaglio dei vari catechismi, la sacralità rinnovata dei vincoli parentali, il valore incontestabile del lavoro, degli obblighi di studio e così via.

Non c’è che dire, la psicoanalisi, diciamo certa psicoanalisi (poiché si deve pure mettere in salvo coloro che dal suo interno si battono contro questa impressionante deriva), che sembrava ai suoi esordi aliena dal moralismo, addirittura scandalosa, di fondazione laica e positiva, è la nuova “religione del nostro tempo”, per dirla con Pasolini.

Ad essa si abbeverano i nuovi sacerdoti della retta via, che non necessariamente lo sono per mestiere ma semplicemente ormai assolvono questo compito -essendo in via di estinzione i suoi storici artefici-, dai pulpiti più aggiornati del nostro talk-show planetario. Gli altari dei giornali, i sagrati di certe trasmissioni televisive dove possono predicare senza timore di essere troppo contraddetti (da Fazio, dalla De Gregorio, dalla Gruber), i cenacoli delle loro associazioni di afflitti, le sacrestie di certe università servili, i chiostri di certi festival del nulla in continua espansione.

Molti anni fa ho creduto nella psicoanalisi, mi sono avvicinato ad essa proprio perché vi immaginavo un sapere coraggioso, capace di penetrare gli strati più oscuri della nostra esperienza senza il timore di nulla, amavo il suo linguaggio sessuato, la sua componente crudele, il suo gusto di sconvolgere i pregiudizi.

Ma il tempo è passato, oggi i suoi esponenti più in vista sermoneggiano accanto ai tutori dell’ordine, fanno buona mostra del loro riduzionismo guardandosi bene dal diagnosticare la genesi dei problemi dove davvero si trova (nei meccanismi del potere economico che giustifica loro stessi e i loro discorsi), si pavoneggiano dell’aver ridotto un sapere straordinario e rivoluzionario, per molti versi, in una catechesi per tutte le stagioni.

Ma si sa, il discorso dell’analista capitalista chiede risultati immediati, rapidi, il godimento del successo tutto e subito, la spendibilità e la visibilità massima. Ça va sans dire.

Da molto tempo, si capirà, cerco altrove l’alimento per pensare e vivere.

1 commento:

  1. Caro Paolo, come ti capisco. Capisco te, come tanti analizzanti o pazienti che, come me, sono stati ‘accecati dalla luce’ ( citando Springsteen, uno che il suo posto lo ha sempre tenuto). Ma cosa dirti? Non perdere l’amore per la psicoanalisi. Lo so, non fai che vedere uomini che raggiunta la popolarità si vestono del sembiante psicoanalitico per dare forma alle loro piu profonde pulsioni conservatrici, moraleggianti, timorose di un godimento che non sanno ben controllare. Gli esempi non te li faccio, perché sei uomo di cultura, e i quotidiani e la tv la vedi ogni giorno anche tu. Così come non ti sarai persa la micidiale uscita sulle coppie gay ‘come l’isis’. E giu’, il padre che traccia il solco e col fallo lo difende, e la madre che vedi un po’ si divide tra far la mamma e strade lastricate di narcisisimo…. Questa indebita proiezione da studi di un mondo piccolo borghese, ricco e timoroso di un Dio qualsiasi, rappresentativi dell ‘Italia quanto io lo sono della tribù kalenjj, quella dove tutti sono maratoneti. Non fermarti li.

    Fai come me, senza pigliare un contraccolpo come lo presi io.
    Guarda sotto, dietro. Non sui quotidiani, e nemmeno nelle pagine sponsorizzate.
    E neanche nelle feste di Partito.

    Gli psicoanalisti ci sono, eccome. Ma son nascosti. Sono morti, silenziosi e impersonali come ha insegnato Lacan, quel Lacan che diceva di non prendersi troppo sul serio, o che derideva quelli che si fanno belli con uno suo scritto. Ad un accenno di depressione non ti cacciano dallo studio come un rottame.

    Li ho incontrati, dopo che l’abbaglio è passato. Dopo che questo modo di intendere l’analisi paternale ha ‘mostrato la sua incommensurabile e insufficienza e capacità di fare danni su di me. Perduranti,

    Certo, sono difficili da trovare. Parlano poco, scrivono in luoghi non frequentati.
    Non sono griffati, Non hanno sponsor.

    Per loro vale quella massima di Lacan ‘ l’analista paga, è il minimo che si possa pretendere per la posizione e che occupa’


    Maurizio

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